La genesi del (mio) dolore - diario di bordo


Ultimamente non ho fatto tante foto. Le ultime risalgono a momenti felici (meno tristi) dove tutto era al suo posto, dove non c’erano pezzi mancanti. Quando mi sentivo completa, piena di preoccupazioni ma tutto era al suo posto.
Leggo poco, quasi niente. Non mi concentro. Il tempo scorre e io fisso la pagina stampata. Avevo mille idee mentre adesso ne ho poche. Maggio ha lasciato posto a Giugno, un mese più doloroso dell’altro. Il primo è quello dell’addio, il secondo del ricordo di torte mangiate assieme (sempre e solo la millefoglie).
Il tempo passa e io non mi capacito di cosa è successo, del mio involucro vuoto. Di come si possa andare avanti quando una persona non c’è più. Di quanto vuoto lasci, di quanto presto si faccia a cancellarla dalla carta. 

Presente.
Passato.

Com’è strano ricordare una persona che è stata, coniugare i verbi ad un tempo andato. 
Non c’e più.
Ci sarà sempre.
Sarà nei pranzi della domenica dove si parlava di politica e si litigava. Ci sarà nelle canzoni di Dalla che cantava con concentrazione ed intensità, tenendo gli occhi chiusi. Ci sarà in quel profumo che verrà riposto nel mobile del bagno e mai più usato. Ci sarà nei sorrisi di chi è pronto a nascere e che lo conoscerà tramite i racconti e le foto.
Ci sarà a dicembre quando mi ritroverò a litigare da sola perché una pallina rossa non può stare vicino ad una dello stesso colore e perché la punta dell'albero sarà irrimediabilmente storta come ogni anno.
Ci sarà nei momenti felici, quando mi girerò a cercarlo e troverò la sedia vuota. 
Sarà sulla polvere che si posa sulla moto, testimone di chilometri e di sole e di pioggia e di amicizie. 
Sarà nelle lacrime, nei ricordi e nei vuoti. Quei vuoti fatti per rimanere e per non essere riempiti.

Com’è possibile esistere e dopo poco non esistere più? Fino a quando una persona c’è? Fa parte del mondo? Forse fino a quando viene ricordata. 

E si convive con la tristezza nel petto. Con quel peso sullo stomaco. Con il dolore sordo che sembra squarciarmi da dentro. Ci si adatta alla nuova vita ma che fatica, ma che coraggio. Io, che  il coraggio l’ho sempre cercato da chi mi circonda, ho dovuto imparare a camminare da sola quando invece avrei voluto un altro po’ di compagnia lungo il cammino.

E sono arrabbiata. Tanto. Mi arrabbio con tutti, cerco il pretesto per litigare. Rimugino. Non mi dò pace ma allo stesso tempo so che è stato fatto il massimo fino alla fine.

Ma questa rabbia non se ne va. Fa compagnia alla malinconia, le cede il posto. Fanno a gara a chi mi fa stare più male. 

E io sono qui. Fatico a respirare anche se dovrebbe essere la cosa più semplice del mondo, la prima che fai quando nasci. È tutto difficile. 

Ci si abitua mai al dolore?


Cieli blu 💙

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