Alma - Federica Manzon

Feltrinelli | 253 pagine | 17,10 €

Trama:

Tre giorni dura il ritorno a Trieste di Alma, che dalla città è fuggita per rifarsi una vita lontano, e ora è tornata per raccogliere l’imprevista eredità di suo padre. Un uomo senza radici che odiava il culto del passato e i suoi lasciti, un padre pieno di fascino ma sfuggente, che andava e veniva al di là del confine, senza che si potesse sapere che lavoro facesse là nell’isola, all’ombra del maresciallo Tito “occhi di vipera”.
A Trieste Alma ritrova una mappa dimenticata della sua vita. Ritrova la bella casa nel viale dei platani, dove ha trascorso l’infanzia grazie ai nonni materni, custodi della tradizione mitteleuropea, dei caffè colti e mondani, distante anni luce dal disordine chiassoso di casa sua, “dove le persone entravano e se ne andavano, e pareva che i vestiti non fossero mai stati tolti dalle valigie”. Ritrova la casa sul Carso, dove si sono trasferiti all’improvviso e dove è arrivato Vili, figlio di due intellettuali di Belgrado amici di suo padre. Vili che da un giorno all’altro è entrato nella sua vita cancellando definitivamente l’Austriaungheria. Adesso è proprio dalle mani di Vili, che è stato “un fratello, un amico, un antagonista”, che Alma deve ricevere l’eredità del padre. Ma Vili è l’ultima persona che vorrebbe rivedere.
I tre giorni culminanti con la Pasqua ortodossa diventano così lo spartiacque tra ciò che è stato e non potrà più tornare – l’infanzia, la libertà, la Jugoslavia del padre, l’aria seducente respirata all’ombra del confine – e quello che sarà.
Federica Manzon scrive un romanzo dove l’identità, la memoria e la Storia – personale, familiare, dei Paesi – si cercano e si sfuggono continuamente, facendo di Trieste un punto di vista da cui guardare i nostri difficili tentativi di capire chi siamo e dov’è la nostra casa.

Recensione:

Questa non è una semplice storia. È la Storia dentro la storia. È il racconto di esuli, di apolidi, di persone che si credono libere. È la storia di tante piccole guerre sia fisiche che metaforiche. È la lotta costante di una generazione che non sa da quale parte stare. Dov’è il bene? Dov’è il male? Hanno davvero un confine così netto?

Alma, una ragazzina tutta gambe e grandi occhi chiari, nasce in una famiglia complicata. I suoi nonni sono legati all’Austria-Ungheria, cercano di crescerla con rigore in salottini puliti, profumati ed impeccabili. Sua madre scappa da quella realtà quando conosce suo padre, l’uomo che va e viene dall’Isola. L’uomo che ha un nome ma non ha un’identità, una provenienza. È libero di essere ciò che vuole, libero di partire e tornare secondo i suoi tempi scandendo i ritmi di una famiglia sempre in attesa del suo ritorno. Alma passa la prima parte della sua vita a Trieste e solo in seguito viene allontanata dai nonni per andare a vivere nella casa sul Carso.
In quella casa dai pavimenti umidicci e dal tavolo ricoperto di polvere Alma conosce Vili, un bambino portato da “di là” dal padre per garantirgli un futuro migliore. 
Hanno la stessa età ma negli occhi sfumature diverse. Alma cerca la sua identità in una città divisa tra passato e presente, in una famiglia confusa e sgangherata mentre Vili, crescendo, cerca di capire chi è davvero e se il sangue determina una persona.
Nel frattempo scoppia una guerra che in Occidente viene definita “lontana” ma lì, al confine, non lo è per niente.
Sarà proprio quella guerra a definire nuovi equilibri, nuove storie e dinamiche. Sarà quella guerra lì a cambiare tutto e allo stesso tempo niente.

“Alma” di Federica Manzon è stata una lettura lenta. Lenta per volontà, lenta per poterla apprezzare al meglio e coglierne così le sfumature tra le righe. La definirei un innamoramento lento. All’inizio non ero certa che potesse piacermi. La scrittura portava a mondi lontani che non comprendevo per bene. Mi portava a stralci di storia che conoscevo con troppo pressappochismo. Poi qualcosa è cambiato. Vili e Alma sono entrati nel mio mondo con prepotenza assieme all’Austria-Ungheria, assieme a Trieste che mi è piaciuta tanto, assieme al miscuglio di lingue e suoni e culture che vengono raccontate in questa storia.

Devo ammettere che Federica Manzon fa un bel lavoro. Racconta con semplicità e con metafore delicate la situazione politica della Jugoslavia. Racconta di Tito e dei suoi ideali. Della sua ascesa e del suo declino. Racconta le conseguenze di lotte intestine tra culture che fino a poco prima appartenevano ad una stessa entità. Racconta tutto questo attraverso gli occhi di due giovani ragazzi così diversi tra loro eppure in qualche modo simili.
Alma scappa sempre. È troppo simile a suo padre, è troppo diversa da sua madre. Vuole essere libera ed indipendente ma nel momento di fragilità cerca l’austero nonno “austro-ungarico” per trovare un po’ di serenità. Il tutto sembra contraddittorio eppure in lei convivono diverse culture che la portano ad essere ciò che è.
Vili è un ragazzo che non si è mai sentito parte di una famiglia. Ospite in casa di tutti, amico di nessuno, nel momento in cui scoppia la guerra sente l’esigenza di ritrovare le sue origini, di andare dalla sua gente. Gente che non fa parte della sua vita di Trieste.
E poi c’è proprio la città di Trieste che fa da sfondo a questa storia. C’è il borino, c’è il borgo teresiano, c’è la strada che porta a Miramare. Quella strada che dà sul mare dove i ragazzi si tuffano dagli scogli.
C’è tutto..

“Ci hai messo una vita,” dice, e il nero dei suoi occhi sembra aver catturato tutta la luce a disposizione.
“Ti ho trovato subito.”
“È naturale.”

Questo libro mi è piaciuto tanto. La lettura è cominciata in sordina per poi stupirmi pagina dopo pagina. Con curiosità ho ricostruito i fili di una storia che conoscevo a malapena e con soddisfazione ho ritrovato città che ho visto nel tempo e delle quali conservo un bel ricordo. Federica Manzon scrive e regala ai lettori una storia intensa. Fatta di silenzi e allo stesso tempo di racconti ispirati. Racconta di personaggi complicati e tormentati ma allo stesso tempo umani. Racconta di lotte finite con il rammarico di altre guerre iniziate più avanti. Un monito, forse, per le generazioni future.
Ho trovato la seconda parte più fluida della prima che ha condotto ad un finale degno di nota. Una bella conclusione per cui il viaggio ne è valsa la pena. Consiglio questo libro a chi desidera una lettura intensa ma che si prende il suo tempo per essere apprezzata. Lo consiglio a chi apprezza le storie di frontiere e di confini e soprattutto a chi ama i libri tratti da fatti realmente accaduti. Non viene detto esplicitamente dall’autrice ma dai ringraziamenti si intuisce e queste sono proprio il genere di storie che piacciono a me. 

Valutazione:
★★★★★/5


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