L'equilibrio delle lucciole - Valeria Tron


Casa editrice: Salani
Pagine: 400
Prezzo: 17,10 €

Trama:

Ogni punto di partenza ha bisogno di un ritorno. Per riconciliarsi con il mondo, dopo una storia d'amore finita, Adelaide torna nel paese in cui è nata, un pugno di case in pietra tra le montagne aspre della Val Germanasca: una terra resistente dove si parla una lingua antica e poetica. È lì per rifugiarsi nel respiro lungo della sua infanzia, negli odori familiari di bosco e legna che arde, dipanare le matasse dei giorni e ricucirsi alla sua terra: ‘fare la muta al cuore', come scrive nelle lettere al figlio. Ad aspettarla – insieme a una bufera di neve – c'è Nanà, ultima custode di casa, novant'anni portati con tenacia. Levì, l'altro anziano che ancora vive lassù, è stato ricoverato in clinica dopo una brutta caduta. Isolate dal mondo per quattordici giorni, nel solo spazio di quel piccolo orizzonte, le due donne si prendono cura l'una dell'altra. Mentre Adelaide si adopera per essere utile a Nanà e riportare a casa Levì, l'anziana si confida senza riserva, permettendole di entrare nelle case vuote da tempo, e consegnandole la chiave di una stanza intima e segreta che trabocca di scatole, libri ricuciti, contenitori e valigie, in cui la donna ha stipato i ricordi di molte vite, tra uomini, fiori, alberi e animali, acqua e tempo. Una biblioteca di esistenze, di linguaggi, gesti e voci, dove ogni personaggio è sentimento, un modo di amare. Fotografie, lettere, oggetti che sanno raccontare e cantare il tempo: di guerra e povertà, amori coltivati in silenzio, regole e speranza, fatica e fantasia. Un testamento corale che illumina le ombre e le rimette in equilibrio. La bellezza intensa che respira oltre la vita e rimane in attesa di parole. Tuffarsi nella memoria significa avere il coraggio di inventare un altro finale e vivere oltre il tempo che ci è stato concesso, per ritrovare il luogo intimo di ognuno. La casa.


Recensione:

“La mia tazza è quella di Memè, sempre la stessa sa dieci anni. È un’eredità che ho sentito preziosa da che se ne è andata; l’abitudine che fa di un oggetto un rito me l’ha insegnata lei. Poco importa se è un coltello, una tazza o un pettine: vengono riservate piccole cose che sanno invecchiare tra le mani di un’unica persona. Ci si affeziona, alla fine.” 

Non è stato amore a prima pagina con questo libro, tant'è che all'inizio ho anche pensato di mollarlo. La scrittura era prolissa, troppe metafore, troppe frasi che lasciavano sottintendere cose che non riuscivo a capire. Poi è arrivata Nanà che mi ha rimesso a posto e attraverso i suoi occhialini neve mi ha fatto capire che dovevo rimanere fino all'ultima pagina e così ho fatto. Per fortuna l'ho ascoltata!

Questo libro racconta la storia di Adelaide che dopo una relazione fallimentare torna a rifugiarsi nel luogo del cuore, là dove le sue origini la attendono, dentro a case di pietra ormai quasi tutte vuote della Val Germanasca. 
Al suo arrivo trova Nanà, una vecchina novantenne che scricchiola, mentre Levì è ricoverato a valle a causa di un incidente dovuto a quelle "maledette fascine".
L'intento doli Adelaide è di prenderei cura dell'ultima superstite della valle. L'unica che possiede le chiavi delle casa vuote attorno a sé. 
In realtà sarà Nanà a prendersi cura della fragile donna rivelandole storie ormai seppellite da tempo, di persone che conosceva e che l'hanno cresciuta.
E poi c'è Daniele, un uomo dall'animo buono, un infermiere che si prende cura di Levì e che entra in contatto con Adelaide e Nanà per far sapere loro come sta l'uomo.
Daniele che con la sua dolcezza riesce ad ammorbidire la scorza dura di Nenè e a far ricredere Adelaide che forse non tutto è perduto.

Credo che questo libro possa rientrare nella categoria di quelli che o li si ama p li si odia. Io ho avuto pazienza, ho saputo apprezzare similitudini e metafore. Non è stato immediato, come ho detto prima, ma una volta ottenuta la chiave di lettura tutto è stato più semplice e mi sono goduta il libro nella sua interezza. Mi sono affezionata tantissimo a Nanà e all'atmosfera che l'autrice ha saputo creare. Complice il primo freddo e l'urgenza di una copertina sulle gambe, mi sono lasciata cullare da una scrittura dolce, che ha saputo raccontare di tempi antichi senza difficoltà. 
Con Adelaide c'ero anche io, con i suoi rimorsi, le sue paure, il suo amore per ogni abitante di quella valle che ormai non c'è più. Risucivo perfino a sentire i profumi della cucina o quello provenienti dai boschi poco lontani.
È stata una totale immersione in un mondo così lontano dal nostro, fermo nel suo tempo e nella sua semplicità. Ho invidiato Adelaide sotto certi punti di vista, perché attraverso le scatole dei ricordi di Nanà ha avuto la possibilità di conoscere epoche lontane, di rivedere i suoi cari sotto una luce diversa. Ha avuto una seconda possibilità superando perfino il confine ineluttabile della morte.
Questa non è solo la storia di Adelaide ma anche quella di Memè, di bar Tricot,  di Celest, di Levìdi,  di Nanà, di Leda e di Irma che riesco a vedere ballare tutti insieme riuniti nel fienili giovani e felici, quando la guerra era ancora lontana e la giovinezza così vicina.

Questo libro mi è piaciuto davvero tanto perché è stato in grado di farmi ricredere. In alcuni punti mi sono emozionata tantissimo e in altri divertita. Ha la capacità di cambiare pelle in base alle situazioni raccontate e credo che sia proprio questo il suo punto di forza. L'autrice è stata in grado di raccontare tantissime cose dando loro la giusta importanza senza rovinare l'equilibrio generale del libro. Non è una capacità da tutti.
Spero che questo libro passi di mano in mano,  che venga conosciuto da più persone, che se ne parli di più perché è una perla rara della quale bisogna aver cura.

Valutazione: 

★★★★/5 

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