Tre gocce d’acqua - Valentina D’Urbano


Casa editrice: Mondadori
Pagine: 369
Prezzo: 19,00 €

Trama:

Celeste e Nadir non sono fratelli, non sono nemmeno parenti, non hanno una goccia di sangue in comune, eppure sono i due punti estremi di un'equazione che li lega indissolubilmente. A tenerli uniti è Pietro, fratello dell'una da parte di padre e dell'altro da parte di madre. Pietro, più grande di loro di quasi dieci anni, si divide tra le due famiglie ed entrambi i fratellini stravedono per lui. Celeste è con lui quando cade per la prima volta e, con un innocuo saltello dallo scivolo, si frattura un piede. Pochi mesi dopo è la volta di due dita, e poi di un polso. A otto anni scopre così di avere una rara malattia genetica che rende le sue ossa fragili come vetro: un piccolo urto, uno spigolo, persino un abbraccio troppo stretto sono sufficienti a spezzarla. Ma a sconvolgere la sua infanzia sta per arrivare una seconda calamità: l'incontro con Nadir, il fratello di suo fratello, che finora per lei è stato solo un nome, uno sconosciuto. Nadir è brutto, ruvido, indomabile, ha durezze che sembrano fatte apposta per ferirla. Tra i due bambini si scatena una gelosia feroce, una gara selvaggia per conquistare l'amore del fratello, che preso com'è dai suoi studi e dalla politica riserva loro un affetto distratto. Celeste capisce subito che Nadir è una minaccia, ma non può immaginare che quell'ostilità, crescendo, si trasformerà in una strana forma di attrazione e dipendenza reciproca, un legame vischioso e inconfessabile che dominerà le loro vite per i venticinque anni successivi. E quando Pietro, il loro primo amore, l'asse attorno a cui le loro vite continuano a ruotare, parte per uno dei suoi viaggi in Siria e scompare, la precaria architettura del loro rapporto rischia di crollare una volta per tutte. Al suo settimo romanzo, Valentina D'Urbano si conferma un talento purissimo e plastico, capace di calare i suoi personaggi in un'attualità complessa e contraddittoria, di indagare la fragilità e la resilienza dei corpi e l'invincibilità di certi legami, talmente speciali e clandestini da sfuggire a ogni definizione. Come quello tra Celeste e Nadir, che per la lingua italiana non sono niente, eppure in questa storia sono tutto.



 Recensione: 


Fu solo allora che Diana si accorse di me.
«Da quanto sei lì in piedi?»
«È lì da un po’» rispose lui per me.
«Tu lo sapevi?»
« Io la sento»

Dopo “Isola di Neve”, libro che ho amato tantissimo, Valentina D’Urbano torna con un nuovo romanzo che non ha deluso le aspettative. Mi è piaciuto “Tre gocce d’acqua” dalle prime pagine. Dopo aver conosciuto tutti i personaggi ed essermi affezionata a loro come se fossero miei parenti.
La storia ruota attorno a Celeste, Pietro e Nadir, tre fratelli a metà, non del tutto. Celeste e Pietro sono fratelli da parte di padre. Pietro e Nadir da parte di madre. 
Celeste e Nadir non sono parenti, eppure lo diventano, lo sottintendono. Crescono con questo filo che li unisce e del quale tiene i capi Pietro, perno di due famiglie che con il tempo diventano un unico cuore pulsante.
È strana questa storia, strana e funziona. 
Celeste e Nadir hanno un rapporto particolare sin dall’inizio. Da piccoli sono gelosi l’uno dell’altro. Con il passare del tempo accettano la reciproca presenza e cercano in qualche modo di far parte di una realtà diversa da quella che immaginavano.
Si ritrovano più simili durante l’adolescenza, quando i tratti somatici si fanno più marcati, quando cominciano ad avere una propria identità. E guardandosi negli occhi si rendono conto che si somigliano più di quanto vorrebbero e che tra di loro c’è qualcosa che va al di là del semplice legame famigliare.
Però non possono dare retta a questo mostro che portano dentro, non possono semplicemente perché agli occhi di tutti sono Celeste e Nadir, due fratelli. Due rami dello stesso albero. Soprattutto per Pietro che forse è l’unico che riesce a vederli per come sono veramente.
Tre gocce d’acqua.
La scrittura della D’Urbano è inconfondibile. Dura, spietata, a volte tetra ma maledettamente vera. Le bastano poche righe per colpire dritto al cuore e ci riesce sempre.
Ed è questa ruvidezza che la contraddistingue, il suo modo di scandagliare i rapporti umani, esasperarli per renderli veri e unici. Questo libro è un ode al dolore e alla voglia di riscatto dei personaggi. Del loro voler far chiarezza nonostante la sofferenza.
Celeste, inchiodata dalla malattia ad una vita fatta di attenzioni, allontana tutto ciò che le fa bene, perfino quel "fratello" che vorrebbe starle accanto e che lei mette alla porta sempre e comunque con il suo carattere duro e scontroso. Nadir prova, ripetutamente e a modo suo, a farle capire quanto è legato a lei. 
Arrivano a farsi del male, a scavare delle cicatrici così profonde che nemmeno il tempo riuscirà a sanare. Agli occhi di tutti continuano ad essere due fratelli quando in realtà vorrebbero essere qualcosa di completamente diverso.
È una lettura bellissima che porta dolore ma che strappa anche sorrisi. È un libro che consiglio a tutti, come tutti i suoi precedenti.
Concludo la recensione con questa semplice frase, una stilettata al cuore che chi leggerà il libro saprà comprendere.

“Sai da te quanto t’ho amata.”

Valutazione:

★★★★★ / 5 


Commenti

Post più popolari